CAPITOLO 17
 

Ove si spiegano il fine e il modo in cui Dio comunica all’anima i beni spirituali tramite i sensi,

e si risponde al dubbio esposto sopra.
 

1. Molto c’è da dire sul fine e sul modo in cui Dio concede queste visioni. Egli vuole elevare

l’anima dalla sua bassezza fino all’unione divina, di cui parlano tutti i libri spirituali, compreso

questo. Perciò, nel presente capitolo, dirò soltanto ciò che serve per rispondere al nostro dubbio che

era: dal momento che in queste visioni soprannaturali si nascondono tanti pericoli e molti ostacoli

per andare avanti, come ho detto, perché Dio, che è sapientissimo e propenso a liberare le anime da

ostacoli e insidie, le offre e le comunica?
 

2. Prima di rispondere, occorre ricordare tre principi fondamentali. Il primo è tratto dalla lettera ai

Romani di san Paolo, ove si dice: Quae autem sunt, a Deo ordinata sunt, cioè: Le cose che esistono

sono state ordinate da Dio (Rm 13,1). Il secondo è tratto dal libro della Sapienza, ove lo Spirito

dice: Disponit omnia suaviter (Sap 8,1), come a dire: la sapienza di Dio, benché si estenda da un

confine all’altro, cioè da un estremo all’altro, governa con bontà eccellente ogni cosa. Il terzo, che

viene offerto dai teologi, recita così: omnia movet secundum modum eorum, cioè: Dio muove tutte

le cose secondo la loro natura.
 

3. Secondo questi principi fondamentali è, quindi, chiaro che Dio, per muovere ed elevare l’anima

dal limite estremo della sua bassezza al vertice sublime della sua grandezza nell’unione con lui, lo

fa con ordine, con soavità e secondo la natura di quest’anima. Ora, poiché l’ordine seguito dalle

persone nella conoscenza passa attraverso le forme e le immagini delle cose create, e il modo di

conoscere e di apprendere passa attraverso i sensi, Dio per elevare l’anima alla somma conoscenza

deve, agendo con soavità, cominciare a muoverla dall’estrema bassezza dei sensi ed elevarla,

secondo la sua natura, verso l’altro estremo, quello della sapienza spirituale, che non cade sotto i

sensi. Per questo Dio la eleva pian piano, prima istruendola per mezzo di forme, immagini e cose

sensibili, sia naturali che soprannaturali, conformi al suo modo di apprendere, e poi attraverso

meditazioni discorsive, fino a portarla alla somma grandezza del suo spirito.
 

4. Questo è il motivo per cui Dio le comunica visioni, rappresentazioni, immagini e altre

conoscenze sensibili e intelligibili spirituali. Questo non vuol dire che egli non voglia darle

immediatamente, dal primo atto, la sapienza dello spirito. Lo farebbe se i due estremi, quello umano

e quello divino, il senso e lo spirito, potessero per via ordinaria congiungersi e fondersi in un unicoatto, senza l’intervento di altri atti preparatori che con ordine e soavità possono congiungersi tra loro, facendo gli uni da fondamento e preparazione per gli altri, come gli agenti naturali. E così le

prime disposizioni servono alle seconde, le seconde alle terze e via di seguito. Allo stesso modo,

Dio va perfezionando l’uomo secondo la sua stessa natura, cominciando dal più basso ed esteriore

per arrivare al più alto e interiore. Egli lo perfeziona, dunque, prima nei sensi del corpo,

spingendolo a far buon uso degli oggetti dell’ordine naturale, esterni ma eccellenti, come ascoltare

prediche, partecipare alla messa, guardare cose sante, mortificare il gusto nel mangiare, mortificare

il tatto attraverso il santo rigore della penitenza. Quando questi sensi sono sufficientemente disposti,

suole perfezionarli ulteriormente. Accorda ad essi favori soprannaturali e doni per confermarli

sempre più nel bene, offrendo loro comunicazioni soprannaturali, come, ad esempio, visioni di santi

o di cose sante corporee, profumi e locuzioni soavissime o un grandissimo diletto nel tatto.

Attraverso simili favori i sensi vengono confermati nella virtù e liberati dal desiderio degli oggetti

cattivi. Oltre a questo, Dio perfeziona a poco a poco anche i sensi corporali interni, di cui sto

parlando, cioè l’immaginazione e la fantasia; li abitua al bene con considerazioni, meditazioni e

santi discorsi, istruendo così lo spirito. Quando la persona è ormai disposta grazie a questo esercizio

naturale, Dio è solito illuminarla e spiritualizzarla ulteriormente con alcune visioni soprannaturali,

che sono quelle che si chiamano immaginarie, nelle quali, come ho detto, lo spirito trova grande

giovamento; nelle une e nelle altre, infatti, viene dirozzato e riformato a poco a poco. In questo

modo Dio eleva gradualmente l’anima, conducendola verso ciò che è più interiore. Non che sia

sempre necessario conservare rigidamente quest’ordine di priorità, come è presentato qui. A volte

Dio si serve di alcuni mezzi e non di altri, passa dal più interiore al meno interiore, o accorda i suoi

favori tutti in una volta. Egli agisce secondo ciò che è bene per l’anima e secondo come vuole

concederle i favori. Ma la via ordinaria è quella che ho esposto.
 

5. In questo modo, dunque, Dio va istruendo e rendendo spirituale l’anima. Comincia a comunicarle

la vita spirituale partendo dalle cose esterne, palpabili e adeguate ai sensi, secondo la limitatezza e

la poca capacità dell’anima. Attraverso la mediazione della corteccia di queste cose sensibili, di per

sé buone, la spinge a emettere atti particolari e a ricevere ogni volta tante piccole comunicazioni

spirituali. Così, a poco a poco, essa acquisterà l’abitudine di ciò che è spirituale e conseguirà la

sostanza della vita spirituale, del tutto estranea ai sensi. Ma, come ho detto, l’anima potrà giungervi

solo a poco a poco, a modo suo, attraverso i sensi, a cui è sempre legata. A mano a mano che si

avvicina alla vita dello spirito nel suo rapporto con Dio, si spoglia e si libera dei mezzi sensibili,

cioè della meditazione discorsiva e immaginaria. Perciò, quando giungerà a trattare con Dio in un

modo perfettamente spirituale, essa sarà necessariamente spogliata di tutto ciò che riguardo a Dio

può cadere sotto i sensi. Difatti, quanto più una cosa si avvicina a un estremo, tanto più si allontana

e si estrania dall’altro estremo, e quanto più perfettamente aderisce all’uno, tanto più è distaccata

dall’altro. Dice un adagio spirituale: Gustato spiritu, desipit omnis caro, che significa: Una volta

gustate le dolcezze dello spirito, l’anima trova insipido tutto ciò che viene dalla carne: cioè tutte le

vie della carne, che rappresentano ogni tipo di relazione dei sensi con lo spirito, non giovano e non

procurano soddisfazione alcuna. Ciò è evidente, perché se è spirito non cade più sotto i sensi, e se

può essere afferrato dai sensi allora non è puro spirito. Quanto più i sensi e le facoltà naturali

possono sapere dello spirito, tanto meno questo è spirituale e soprannaturale, come si deduce da ciò

che è stato detto finora.
 

6. Pertanto la persona spirituale che ha raggiunto la perfezione non tiene più conto dei sensi, né

riceve cosa alcuna per loro tramite, né soprattutto si serve o ha bisogno di servirsi di essi per andare

a Dio, come faceva prima quando non era avanzata nella vita spirituale. Questo vuol farci intendere

quel passo di san Paolo nella lettera ai Corinzi: Cum essem parvulus, loquebar ut parvulus,

sapiebam ut parvulus, cogitabam ut parvulus. Quando autem factus sum vir, evacuavi quae erant

parvuli, che significa: Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo

da bambino. Ma divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato (1Cor 13,11). Ho giàspiegato come le cose relative ai sensi e alla conoscenza che lo spirito può cogliere siano esercizi

infantili. Perciò, se l’anima vorrà attaccarvisi per sempre senza mai distogliersene, non cesserà di

essere come un bambino e parlerà di Dio sempre come un bambino, penserà a Dio come un

bambino. E poiché essa si ferma alla scorza, ai sensi, il che è proprio dei bambini, non arriverà mai

alla sostanza dello spirito, che è proprio dell’uomo perfetto. Per poter crescere, dunque, l’anima non

dovrà ricercare le rivelazioni di cui parliamo, anche se offerte da Dio. È simile al bambino che deve

lasciare il seno materno per abituare il suo palato a un cibo più forte e sostanzioso.
 

7. Ma ora mi si chiederà: non sarà forse necessario che l’anima, finché è piccola, riceva tali

rivelazioni e le abbandoni solo quando sarà cresciuta, così come è necessario al bambino succhiare

al seno materno per nutrirsi, fino a quando sarà cresciuto e potrà farne a meno? Rispondo che, se si

tratta della meditazione e dell’esercizio del discorso naturale con cui l’anima comincia a cercare

Dio, è vero che non deve abbandonare questo mezzo sensibile per potersi nutrire. Essa deve

continuare così fino al momento in cui può farlo, cioè sino a quando Dio la introdurrà in un

rapporto con sé più spirituale, ossia nella contemplazione, di cui ho già parlato nel capitolo 13 di

questo libro. Ma quando si tratta di visioni immaginarie o di altre comunicazioni soprannaturali che

possono cadere sotto i sensi, indipendentemente dalla volontà dell’uomo, affermo che in qualsiasi

momento, sia nello stadio perfetto che in quello meno perfetto, anche se vengono da Dio, l’anima

non deve volerle, per due motivi. Primo perché, come ho detto, tali visioni producono nell’anima il

loro effetto senza che essa possa impedirlo, pur potendo impedire e impedisca di fatto la visione

stessa, come accade spesso. Di conseguenza, l’effetto che tale visione doveva provocare nell’anima

viene prodotto in essa in un modo più sostanziale, anche se per un’altra via. L’anima infatti, ripeto,

non può allontanare i favori che Dio vuole comunicarle, a meno che non vi sia qualche

imperfezione o spirito di possesso. Ora, se essa rinuncia a queste cose in umiltà, diffidando di sé,

non c’è alcuna imperfezione o spirito di possesso. In secondo luogo, l’anima si libera dal pericolo e

dalla fatica che c’è nel discernere le visioni buone da quelle false e nel riconoscere se sono prodotte

dall’angelo della luce o da quello delle tenebre. Ciò non procura alcun giovamento, ma fa solo

perdere tempo, crea ostacoli all’anima, la mette nell’occasione di molte imperfezioni, le impedisce

di progredire, occupandola in cose che non sono del suo stato, liberandola cioè da queste minuzie di

visioni e di conoscenze particolari, come ho detto a proposito delle visioni corporee e di quelle di

cui parlerò più avanti.
 

8. Dobbiamo convincerci che se il Signore non elevasse l’anima secondo la sua stessa natura, come

dirò, non le comunicherebbe mai l’abbondanza del suo spirito mediante canali così stretti quali sono

le forme, le figure e le conoscenze particolari, attraverso cui, appunto, le offre delle briciole per

sostenerla. Per questo Davide dice: Mittit crystallum suam sicut buccellas: Getta come briciole la

sua grandine (Sal 147,17), come a dire: invia la sua sapienza alle anime quasi a bocconi. È cosa

veramente triste che l’anima, pur avendo una capacità infinita, venga nutrita con le briciole dei

sensi, a causa del suo poco spirito e della sua scarsa sensibilità. Anche san Paolo si rammarica di

questa poca disposizione e dell’inettitudine a ricevere i doni spirituali, quando scrive ai cristiani di

Corinto: Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri

carnali, come a neonati in Cristo. Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne

eravate capaci. E neanche ora lo siete: Tamquam parvulis in Christo lac potum vobis dedi, non

escam (1Cor 3,1-2).
 

9. Occorre, dunque, ricordare che l’anima non deve porre attenzione alla scorza delle immagini e

degli oggetti che le vengono presentati soprannaturalmente. Si terrà distaccata da tutto ciò che le

verrà dai sensi esterni, come le locuzioni e le parole che colpiscono l’udito, le visioni di santi e gli

splendori affascinanti che colpiscono gli occhi, i profumi che lusingano le narici, i gusti soavi del

palato e altri piaceri del tatto, tutte sensazioni che in generale procedono dallo spirito e che

ordinariamente accadono alle persone spirituali. Tanto meno dovrà soffermarsi su visioni dei sensiinteriori, come le visioni immaginarie, ma respingerle tutte. Deve fissare lo sguardo solo sullo spirito buono che producono, cercando di conservarlo nelle opere e nella pratica ordinata di tutto ciò

che riguarda il servizio di Dio, senza badare a quelle manifestazioni e senza cercare alcun gusto

sensibile. In tal modo l’anima prenderà da tali comunicazioni solo ciò che Dio intende e vuole, cioè

lo spirito di devozione, che è il fine principale per cui egli le concede. Lascerà quanto Dio non

darebbe, se fosse possibile riceverle nello spirito senza quest’esercizio, cioè come ho detto, senza

tali comunicazioni che passano attraverso i sensi.