CAPITOLO 3
 

Ove si parla del primo motivo di questa notte, che consiste nella mortificazione degli appetiti

in tutte le cose. Si spiega altresì la ragione per cui si chiama notte.
 

1. Per notte intendo qui quello stato nel quale gli appetiti vengono privati del gusto in tutte le cose.

Come la notte naturale non è che privazione della luce, e con questa la visibilità di tutti gli oggetti,

ragion per cui la vista resta al buio e senza immagini, così la mortificazione degli appetiti si può

dire notte per l’anima. Infatti, essendo l’anima privata del gusto sensibile, rimane al buio e priva

d’ogni cosa. La vista si attiva mediante la luce e si nutre degli oggetti che si possono vedere, ma

quando scompare la luce essa non li vede più. Parimenti accade all’anima che, servendosi degli

appetiti s’impossessa e si appaga di quelle cose che può godere secondo le sue capacità. Se invece

questo gusto è spento, o per meglio dire, mortificato, l’anima cessa di pascersi del piacere di tutte le

cose e, per quanto riguarda l’appetito, resta al buio e priva d’ogni cosa.
 

2. Faccio un esempio per ciascuna potenza. Se l’anima si priva del godimento di tutto ciò che può

soddisfare il senso dell’udito, resta al buio e privo d’ogni cosa relativamente a questa potenza. Lo

stesso si può dire per la vista, essa rimane al buio e priva d’ogni cosa anche in riferimento a questa

potenza. Quando rinuncia al diletto di tutta la soavità dei profumi, che può provare attraverso il

senso dell’olfatto, anche per quanto riguarda questa potenza rimane al buio e priva d’ogni cosa.

Rinunciando, poi, ad assaporare ogni genere di cibi che possono soddisfare il palato, essa

s’immerge nell’oscurità e diventa libera anche relativamente al gusto. Mortificando, infine, tutti i

piaceri e le gioie che le possono venire dal tatto, rimane anche in questo caso al buio e priva d’ogni

cosa, relativamente a questa potenza. Si può, dunque, affermare che l’anima che ha rinunciato e

allontanato da sé il gusto di tutte le cose, mortificando in ciò i suoi appetiti, è come se fosse

immersa nella notte, al buio, completamente vuota rispetto a tutte le cose.
 

3. Questo si spiega perché, come dicono i filosofi, quando Dio unisce l’anima al corpo, essa è come

una tabula rasa e liscia sulla quale non è dipinto nulla; e se si escludono le conoscenze che essa va

gradualmente acquisendo attraverso i sensi, nulla le viene comunicato naturalmente per altra via.

Finché rimane nel corpo, quindi, assomiglia a colui che, chiuso in un carcere oscuro, conosce solo

ciò che riesce a vedere attraverso le finestre di tale carcere; se non vedesse nulla da lì, non gli

resterebbe altro modo per vedere. Così l’anima non conosce nulla se non ciò che le viene

comunicato attraverso i sensi, che sono come le finestre del suo carcere.
 

4. Posso, perciò, ben affermare che l’anima rimane vuota e al buio se disprezza e rinuncia a ciò che

può percepire tramite i sensi, perché, da quanto ho detto, risulta che per sua natura essa può ricevere

luce solo dalle suddette fonti. Anche se non può cessare di udire, vedere, odorare, gustare e toccare,

tuttavia, se rinuncia e disprezza tutto questo, essa non ci pone attenzione né si lascia ostacolare più

di quanto avverrebbe se di fatto non vedesse, non udisse, ecc. Così è colui che chiude gli occhi e

resta al buio, similmente al cieco che non ha la capacità di vedere. A ciò allude Davide quando dice:

Pauper sum ego, et in laboribus a iuventute mea, cioè: Sono povero e infelice sin dall’infanzia (Sal

87,16). Dice di essere povero, mentre di fatto era ricco, perché non era affatto attaccato alle

ricchezze; quindi era come se fosse stato realmente povero. Se, invece, fosse stato povero di fatto,

senza esserlo con la volontà, non lo sarebbe stato per davvero, perché la sua anima sarebbe stata

ricca e piena di desideri. Per questo motivo chiamo tale povertà interiore notte per l’anima, perché

qui non parlo della semplice privazione dei beni temporali, che di per sé non spoglia l’anima se

questa continua a desiderarli; ma parlo della rinuncia al piacere e al desiderio di essi, che sola ne

rende l’anima libera e vuota, anche quando il possedesse realmente. Non i beni di questo mondooccupano e danneggiano l’anima – infatti non vi penetrano dentro – ma solo l’attaccamento a tali beni e il desiderio che essa ha nei loro confronti.
 

5. Questo primo aspetto della notte, come dirò più avanti, riguarda la parte sensitiva dell’anima.

Esso è uno dei momenti, di cui ho già parlato, attraverso cui l’anima deve passare per giungere

all’unione con Dio. Ora parlerò di quanto sia conveniente all’anima uscire dalla sua casa in questa

notte oscura dei sensi, per avviarsi all’unione con Dio.