CAPITOLO 7Ove si mostra come l’anima sia tormentata dagli appetiti. Lo si prova anche con paragoni e
l’autorità della sacra Scrittura.
1. Vi è una seconda forma di male positivo che gli appetiti provocano nell’anima. Questi la
tormentano e l’affliggono, come tormentato è il condannato al supplizio della corda, legato a
qualche sostegno, che non trova riposo finché non viene liberato. A tale riguardo afferma Davide:
Funes peccatorum circumplexi sunt me: Le funi dei peccati, che sono i miei appetiti, mi hanno
stretto da ogni parte (Sal 118,61). Come è tormentato e afflitto chi si distende nudo su spine e
aculei, così è tormentata e afflitta l’anima quando si lascia andare ai suoi appetiti. Questi, infatti,
come spine, la feriscono, la pungono, si attaccano ad essa e la torturano. Di essi Davide dice ancora:
Circumdederunt me sicut apes, et exarserunt sicut ignis in spinis: Mi hanno circondato come api,
come fuoco che divampa tra le spine (Sal 117,12). Negli appetiti, infatti, che sono le spine, divampa
il fuoco dell’angoscia e del tormento. Come l’agricoltore, spinto dalla cupidigia della messe,
pungola e tormenta il bue aggiogato all’aratro, così la concupiscenza affligge l’anima sotto il
pungolo dell’appetito per ottenere ciò che vuole. Di ciò abbiamo un esempio molto evidente in quel
desiderio che aveva Dalila di sapere in che cosa consistesse la forza di Sansone. La sacra Scrittura
dice che lo stancava e lo tormentava tanto da indebolirlo fin quasi alla morte: Defecit anima eius, et
ad mortem usque lassata est (Gdc 16,16).
2. Quanto più forte è l’appetito, tanto più grande è il tormento per l’anima, cosicché l’uno è
proporzionato all’altro; più numerosi sono gli appetiti, più numerosi sono i suoi tormenti.
Nell’anima, infatti, si realizza, già in questa vita, ciò che l’Apocalisse dice di Babilonia: Quantum
glorificavit se, et in deliciis fuit, tantum date illi tormentum et luctum, cioè: Tutto ciò che ha speso
per la sua gloria e il suo lusso, restituiteglielo in tanto tormento e afflizione (Ap 18,7). È proprio
vero che come è tormentato e afflitto chi cade nelle mani del suo nemico, così è tormentata e afflitta
l’anima che si lascia trasportare dai suoi appetiti. Di tale realtà abbiamo un’immagine nel libro dei
Giudici (16,21). Ivi si legge che il robusto Sansone, prima forte, libero e giudice di Israele, una
volta caduto nelle mani dei suoi nemici perse la forza, fu accecato e costretto a girare una macina.
Così lo tormentarono e lo fecero soffrire molto. Tale è la sorte dell’anima quando questi nemici, gli
appetiti, sono vivi e vittoriosi su di essa; incominciano prima a indebolirla e ad accecarla; poi, come
dirò più avanti, l’affliggono e la tormentano, legandola alla macina della concupiscenza; i legami
che la tengono avvinta sono i suoi stessi appetiti.
3. Ora, Dio ha pietà delle anime che con tanta fatica e a loro spese cercano di placare la sete e la
fame dei loro appetiti nelle cose create. Ad esse dice per bocca di Isaia: Omnes sitientes, venite ad
aquas; et qui non habetis argentum, properate, emite et comedite: venite, emite absque argento
vinum et lac. Quare appenditis argentum non in panibus, et laborem vestrum non in saturitate? (Is
55,1-2), come a dire: O voi tutti assetati di appetiti, venite all’acqua; chi non ha il denaro della
propria volontà e dei propri appetiti, venga ugualmente, comprate da me e mangiate: comprate e
mangiate senza denaro e senza spesa vino e latte, cioè la pace e le dolcezze spirituali, senza il
denaro della propria volontà e senza darmi in cambio interesse né alcun lavoro, come fate per i
vostri appetiti. Perché offrite il denaro della vostra volontà per ciò che non è pane, che non
appartiene cioè allo spirito divino? Perché mettete il lavoro dei vostri appetiti in ciò che non può
saziare? Venite, ascoltatemi e mangerete il bene che desiderate, e l’anima vostra si rallegrerà
nell’abbondanza.
4. Quest’abbondanza significa la liberazione da tutti i piaceri per le cose create, perché queste
tormentano l’anima, mentre lo spirito di Dio la vivifica. Quest’invito ci rivolge il Signore in san
Matteo: Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis et ego reficiam vos, et invenietis requiem
animabus vestris (11,28-29), come a dire: Voi tutti che siete tormentati, afflitti e oppressi dal peso
delle vostre preoccupazioni e dei vostri appetiti, liberatevene, venite a me, e io vi ristorerò, etroverete per le vostre anime il riposo che i vostri appetiti vi tolgono. Questi sono certamente un
carico pesante, come dice Davide: Sicut onus grave gravatae sunt super me: Come un grave peso
mi opprimono (Sal 37,5).