CAPITOLO 15
 

Ove si mostra ai proficienti, che cominciano a entrare in questa conoscenza generale della

contemplazione, come sia a loro opportuno servirsi talvolta della meditazione discorsiva e

delle loro potenze naturali.
 

1. Su quanto già è stato detto può sorgere un dubbio: i proficienti, quelli cioè che Dio comincia a

introdurre in questa conoscenza soprannaturale di contemplazione, di cui sto parlando, e che

iniziano appena a farne esperienza, non devono mai servirsi della meditazione, dei ragionamenti e

delle immagini naturali? A questo dubbio si risponde nel modo seguente: a coloro che cominciano

ad avere questa conoscenza amorosa generalmente non è proibito cercare di meditare, sia perché,

essendo all’inizio del loro cammino, non sono abituati a questa conoscenza amorosa al punto

d’intraprenderla immediatamente appena vogliano, sia perché non si sono ancora distaccati dalla

meditazione tanto da non potere più talvolta meditare o discorrere naturalmente, com’erano soliti

fare, con le immagini e le letture consuete, per trarne qualche nuovo profitto. Anzi, al principio,

quando dagli indizi suddetti tali persone si accorgeranno che la loro anima non è più occupata nella

conoscenza che dà pace, dovranno avvalersi della meditazione discorsiva, finché non arriveranno

alla contemplazione abituale in un modo più o meno perfetto, come accennavo sopra. Ciò accadrà

quando, volendo meditare, non raggiungeranno immediatamente la conoscenza e la pace interiore, e

neppure ne avranno il minimo desiderio, come ho detto. Prima di arrivare a questo stato, che è

proprio dei proficienti, si deve ricorrere sia all’uno che all’altro esercizio, secondo i momenti.
 

2. Così l’anima molte volte si troverà immersa in questa amorosa e pacifica presenza di Dio, senza

l’aiuto delle sue potenze, non ponendo atti particolari, cioè non operando attivamente, ma

disponendosi solo a ricevere. Altre volte, invece, per potersi introdurre in tale presenza, dovrà

aiutarsi dolcemente e moderatamente con la meditazione discorsiva. Ma una volta entrata in quello

stato, torno a ripetere, l’anima non si serve più delle sue potenze. Al contrario, si può veramente

dire che, a questo punto, la conoscenza e il diletto abbondano in essa e l’unica sua attività consiste

in uno sguardo pieno d’amore per Dio, senza cercare di sentire o di volere qualcos’altro. Così,

dunque, Dio le si comunica passivamente, proprio come la luce si comunica a chi ha gli occhi aperti

e il cui unico sforzo è quello di tenerli aperti per riceverla. Ricevere la luce che si comunica

soprannaturalmente significa che l’anima comprende passivamente. Quando si dice che essa che

essa non agisce, non significa che non comprenda, ma che comprende cose che non richiedono lasua capacità, bensì solo la disponibilità a ricevere ciò che le viene dato, come accade per le

illuminazioni, le illustrazioni o le ispirazioni divine.
 

3. Sebbene in questo stato la volontà riceva gratuitamente questa conoscenza generale e confusa di

Dio, per avere più semplicemente e abbondantemente questa luce divina è necessario solo che

s’impegni a non interporvi altre luci più palpabili di altre conoscenze, forme o immagini di qualsiasi

genere, perché niente di tutto questo somiglia a quella luce delicata e pura di Dio. Per questo, se

l’anima volesse allora comprendere e meditare cose particolari, anche se spirituali, creerebbe

ostacolo alla luce limpida, semplice e generale dello spirito, frapponendole come delle nubi.

Somiglierebbe a colui che ha davanti agli occhi qualche ostacolo che gli impedisce di vedere la luce

e di spingere più oltre lo sguardo.
 

4. Risulta quindi chiaro che, quando l’anima sarà completamente purificata e libera da tutte le forme

o immagini percepibili, s’immergerà in questa luce pura e semplice, trasformandosi in essa fino allo

stato di perfezione. Difatti questa luce non manca mai all’anima, però non le si comunica in

presenza delle forme e dei veli delle creature, da cui è avvolta e impedita. Se l’anima si libererà da

questi ostacoli, completamente, come dirò più avanti, si ritroverà nel puro spogliamento e nella

povertà di spirito. Divenuta semplice e pura, essa si trasformerà nella semplice e pura Sapienza, che

è il Figlio di Dio. Quando nell’anima innamorata viene a mancare ciò che è naturale,

immediatamente penetra n essa il divino, in un modo naturale e soprannaturale, perché non si abbia

il vuoto della natura.
 

5. La persona spirituale impari a starsene in un’attenzione amorosa per Dio e conservi il suo

intelletto nella pace, quando non può meditare, anche se ha l’impressione di non fare nulla. Così, a

poco a poco, e molto presto, le verranno infusi riposo e pace divina, con meravigliose e sublimi

conoscenze di Dio, pregne del suo amore. E non si avvalga di idee, meditazioni, immagini o

ragionamenti, per non turbare la sua anima e strapparla dalla sua gioia e pace. Ciò significherebbe

procurarle disgusto e ripugnanza. Se, come ho detto, avesse lo scrupolo di non fare nulla, ricordi

che non è poca cosa calmare la sua anima e conservarla nel riposo e nella pace, libera da ogni

attività e preoccupazione. Ciò è quanto ci chiede anche il Signore per bocca di Davide: Vacate, et

videte quoniam ego sum Deus (Sal 45,11), cioè: Imparate ad essere spogli di tutte le cose, sia

interiormente che esteriormente, e vedrete che io sono Dio.