CAPITOLO 7
Ove si prosegue sullo stesso argomento parlando di altre afflizioni e sofferenze della volontà.
1. Le sofferenze e le afflizioni della volontà in questo stato sono indicibili. Alcune volte
trafiggono l’anima con il ricordo improvviso dei mali in cui si trova immersa e con
l’incertezza di trovarvi un rimedio. A ciò si aggiunge il ricordo della prosperità passata,
perché, di solito, le anime prima di entrare in questa notte hanno ricevuto da Dio molte
consolazioni e gli hanno reso molta gloria. Tutto questo accresce il loro dolore, perché
si vedono private di quei favori e pensano di non poterli più riavere. Ciò è quanto
Giobbe, che ne aveva fatto esperienza, esprime molto bene in questi termini: Me ne
stavo tranquillo ed egli mi ha rovinato, mi ha afferrato per il collo e mi ha stritolato; ha
fatto di me il suo bersaglio. I suoi arcieri mi circondano; mi trafigge i fianchi senza
pietà, versa a terra il mio fiele, mi apre ferita su ferita, si avventa contro di me come un
guerriero. Ho cucito un sacco sulla mia pelle e ho prostrato la fronte nella polvere. La
mia faccia è rossa per il pianto e sulle mie palpebre c’è una fitta oscurità (Gb 16, 12-
16).
2. Sono tante e così terribili le sofferenze di questa notte e così numerose le
affermazioni della Scrittura che si potrebbero citare a questo riguardo, che non
basterebbero il tempo e la forza per descrivere tutto. Del resto, tutto ciò che si può dire è
sempre insufficiente. Dai testi citati possiamo averne un’idea. Tuttavia, prima di
terminare la spiegazione di questi versi e allo scopo di far meglio comprendere ciò che
l’anima prova in questa notte, riporterò i sentimenti di Geremia. La sua sofferenza è tale
che scoppia in lacrime e si esprime in questi termini: Io sono l’uomo che ha provato la
miseria sotto la sferza della sua ira. Egli mi ha guidato, mi ha fatto camminare nelle
tenebre e non nella luce. Solo contro di me egli ha volto e rivolto la sua mano tutto il
giorno. Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle, ha rotto le mie ossa. Ha
costruito sopra di me, mi ha circondato di veleno e d’affanno. Mi ha fatto abitare in
luoghi tenebrosi come i morti da lungo tempo. Mi ha costruito un muro tutt’intorno,
perché non potessi più uscire; ha reso pesanti le mie catene. Anche se grido e invoco
aiuto, egli soffoca la mia preghiera. Ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra, ha
ostruito i miei sentieri. Egli era per me un orso in agguato, un leone in luoghi nascosti.
Seminando di spine la mia via, mi ha lacerato, mi ha reso desolato. Ha teso l’arco, mi
ha posto come bersaglio alle sue saette. Ha conficcato nei miei fianchi le frecce della
sua faretra. Sono diventato lo scherno di tutti i popoli, la loro canzone d’ogni giorno.
Mi ha saziato con erbe amare, mi ha dissetato con assenzio. Mi ha spezzato con la
sabbia i denti, mi ha steso nella polvere. Son rimasto lontano dalla pace, ho
37dimenticato il benessere e dico: “È sparita la mia gloria, la speranza che mi veniva dal
Signore”. Il ricordo della mia miseria e del mio vagare è come assenzio e veleno. Ben
se ne ricorda e si accascia dentro di me la mia anima (Lam 3,1-20).
3. Sono questi i lamenti di Geremia che vuole dipingere al vivo le sofferenze della sua
anima in questa purificazione o notte dello spirito. Per questo motivo occorre nutrire
una grande compassione per l’anima che Dio introduce in questa notte tempestosa e
terribile. Senza dubbio, sarà una sorte beata per l’anima ricuperare i beni incomparabili
che le procurerà questa notte; ciò si verifica, come dice Giobbe, quando Dio strappa
dalle tenebre i segreti e porta alla luce le cose oscure (Gb 12,22), ragion per cui, come
dice Davide, nemmeno le tenebre per te sono oscure (Sal 138,12). Ciò nonostante,
l’anima sperimenta una sofferenza immensa ed è nella più grande incertezza circa la sua
guarigione, perché crede, come dice lo stesso profeta, che il suo male non finirà,
sembrandole, come afferma ancora Davide, che Dio mi ha relegato nelle tenebre come i
morti da gran tempo; in me languisce il mio spirito, si agghiaccia il mio cuore (Sal
142,3-4). Per questo motivo è degna di grande pietà e commiserazione. Oltre alle
sofferenze che le vengono dalla solitudine e dall’abbandono che prova in questa oscura
notte, l’anima soffre anche per il fatto di non trovare consolazione in solide letture né
sostegno in maestri spirituali. Per quanto le si facciano notare i motivi di consolazione
che le vengono dai beni racchiusi in simili sofferenze, essa non può credervi. Difatti è
completamente presa e immersa nel sentimento di quei mali in cui vede così
chiaramente le sue miserie; le sembra che i suoi direttori le dicano così perché non
vedono quello che essa sente e non la capiscano. Anziché consolazione riceve nuovo
dolore, pensando che non è quello il rimedio del suo male, ed è proprio così. Finché il
Signore non avrà finito di purificarla come a lui piace, nessun mezzo o rimedio serve o
aiuta a sollevarla dal suo dolore. Tanto più che l’anima, in questo stato, può fare molto
poco; è come un prigioniero rinchiuso in una cella oscura con le mani e i piedi legati.
Non può muoversi né vedere né ricevere alcun favore dall’alto o dal basso. Questa
situazione dura finché lo spirito non si umilia, non si addolcisce e non si purifica,
diventando talmente sottile, semplice e puro da poter costituire un tutt’uno con quello di
Dio, secondo il grado di unione d’amore che egli nella sua misericordia vorrà
concedergli. In vista di questo grado da raggiungere, la purificazione è più o meno
intensa e dura più o meno a lungo.
4. Ma se tale purificazione dev’essere qualcosa di serio, per quanto sia profonda, dura
alcuni anni. Tuttavia essa presenta delle pause di sollievo, durante le quali, per
disposizione divina, questa contemplazione oscura non investe più l’anima per
purificarla, bensì per illuminarla e accordarle tanto amore. L’anima, allora, sembra
uscire dal carcere e dalle catene. Libera e distesa spiritualmente, sente e gusta soavità di
pace, amabilità e familiarità piena d’amore con Dio, inoltre riceve le comunicazioni
spirituali con molta facilità. Per l’anima tutto ciò è indizio della salvezza che la suddetta
purificazione va operando nel suo intimo nonché preludio dell’abbondanza dei beni che
l’aspetta. Inoltre la sua gioia è, a volte, così profonda, da sembrarle che siano finite le
sue prove. Tale è, in realtà, la natura delle cose spirituali, soprattutto quando si tratta di
cose molto elevate. Infatti, quando si riaffacciano le sofferenze, all’anima sembra di non
uscirne più e aver perduto tutti i beni, come si è visto nelle citazioni riportate sopra.
Quando, al contrario, le vengono accordati beni spirituali, l’anima ha la sensazione che
siano finiti i suoi mali e che non le mancheranno più i beni, come confessò Davide
quando si trovò in una situazione simile: Nella prosperità ho detto: nulla mi farà
38vacillare! (Sal 29,7).
5. Questo accade perché due contrari non possono stare allo stesso tempo nel medesimo
soggetto: l’uno scaccia naturalmente l’altro e il sentimento dell’uno esclude quello
dell’altro. La stessa cosa avviene nella parte sensitiva dell’anima, perché la sua capacità
di percezione è debole. Ma poiché lo spirito in questo stato non è ancora ben purificato
e libero dagli affetti contratti dalla sua parte inferiore, anche se come spirito non può
vacillare, tuttavia in quanto unito alla parte inferiore può essere soggetto alla sofferenza.
Ciò è quanto constatiamo in Davide che vacillò quando fu sottoposto a grandi
sofferenze, sebbene al tempo della sua prosperità avesse detto: Nulla mi farà vacillare!
(Sal 29,7). Anche l’anima, quando si vede fornita di abbondanti beni spirituali e non
riesce a scorgere la radice delle imperfezioni e impurità che le restano ancora, pensa che
le sue sofferenze siano finite.
6. Ma sono rare le volte in cui le viene in mente questo pensiero, perché, fin quando non
è ultimata la purificazione spirituale, molto raramente la comunicazione soave sarà così
abbondante da coprire la radice dei mali che restano nell’anima. Essa avverte, allora, nel
più profondo del suo essere, che qualcosa manca o resta da compiere, e ciò non le
permette di godere appieno di quei favori. Sente interiormente come un nemico che,
anche se sopito e addormentato, fa temere di risvegliarsi per compiere qualcuna delle
sue imprese. Ed è così. Quando l’anima si sente più sicura ed è meno all’erta, questo
nemico torna per farla cadere in uno stato peggiore del primo, più duro, più oscuro e
doloroso, la cui durata si protrae per un lungo periodo di tempo, forse più lungo del
precedente. E l’anima crede ancora una volta che tutti i beni siano ormai perduti per
sempre. Non le basta più l’esperienza del bene passato, goduto dopo il primo periodo di
sofferenza, quando pensava di non avere più da penare. Pensa che in questo secondo
periodo di sofferenza tutto il bene sia finito per sempre e che non le succederà come la
volta precedente. Infatti, ripeto, questa sorta di certezza è talmente radicata nell’anima
dall’attuale convinzione dello spirito, da annientare ogni pensiero che le è contrario.
7. Questo è il motivo per cui coloro che si trovano in purgatorio soffrono per il dubbio
fortissimo che non ne usciranno mai e che le loro pene non avranno fine. Sebbene
possiedano abitualmente le tre virtù teologali, cioè la fede, la speranza e la carità,
attualmente hanno la sensazione delle loro sofferenze e della privazione di Dio. Per il
momento non possono godere del bene e della consolazione derivante da quelle virtù.
Benché sappiano con certezza di amare Dio, ciò non li conforta, perché hanno
l’impressione di non essere amati da Dio nella loro indegnità. Anzi, vedendosi privati di
lui e immersi nelle loro miserie, pensano di avere in sé motivi più che sufficienti per
essere aborriti e rifiutati da Dio, giustamente e per sempre. Similmente, l’anima che
attraversa questo stato di purificazione è consapevole di amare Dio. È altresì disposta a
dare mille vite per lui, ed è veramente così, perché davvero ama Dio in mezzo alle
sofferenze; tuttavia non solo non trova in tutto questo alcun sollievo, ma ne riceve una
pena maggiore. Essa ama tanto Dio da non preoccuparsi di null’altro che di lui, ma si
vede tanto misera da non poter credere che Dio la ami, perché non ha e non avrà mai
motivi per farlo. Scopre in sé motivi per essere sempre detestata da Dio e da ogni
creatura. Il suo tormento consiste nel constatare in sé le ragioni per cui merita di venire
respinta da chi essa ama tanto e desidera con tutto il cuore.