CAPITOLO 12
Ove si tratta delle percezioni immaginarie naturali. Si spiega che cosa siano e si prova che non
possono essere mezzo adatto per giungere all’unione con Dio. Si parla, infine, del danno
provocato dall’attaccamento ad esse.
1. Prima di trattare delle visioni immaginarie che sogliono presentarsi soprannaturalmente ai sensi
interni, cioè all’immaginazione e alla fantasia, per procedere con ordine è opportuno trattare qui
delle percezioni naturali di questi stessi sensi interni corporali. Si procederà, così, dal meno al più,
dal più esterno al più interno, fino a giungere a quella quiete intima dove l’anima si unisce con Dio.
Del resto è l’ordine seguito finora. Difatti ho parlato anzitutto dello spogliamento dei sensi circa le
percezioni naturali degli oggetti esterni e, conseguentemente, delle forze naturali dei nostri appetiti.
Tale è stato l’argomento dei libro I, dove ho parlato della notte dei sensi. Subito dopo ho cominciato
a trattare dello spogliamento dell’anima circa le percezioni esterne soprannaturali, che accecano
appunto i sensi esterni. L’ho fatto nel capitolo precedente, per introdurre l’anima nella notte dello
spirito.
2. In questo libro II il primo argomento da trattare riguarda i sensi corporali interni, cioè
l’immaginazione e la fantasia. Occorre spogliare anche tali sensi da tutte le forme e percezioni
immaginarie che essi possono concepire naturalmente. Devo altresì provare che è impossibile
all’anima giungere all’unione con Dio se non smette di agire per mezzo di queste percezioni, perché
non possono costituire un mezzo adeguato e prossimo a tale unione.
3. Ricordo che i sensi dei quali parlo qui in particolare sono i due sensi corporali interni:
l’immaginazione e la fantasia. Essi sono ordinati l’uno all’altro e si condizionano a vicenda, perchéil primo procede per immagini, l’altro forma le immaginazioni, ossia ciò che è immaginato,
lavorando con la fantasia. Per il nostro argomento è indifferente trattare dell’uno o dell’altro; perciò,
quando li citerò entrambi, ci si ricordi di quello che ho detto qui. Ciò posto, bisogna dire che tutto
quanto tali sensi possono accogliere o elaborare si chiama immaginazioni e fantasie: forme, cioè,
che si presentano a questi sensi sotto l’immagine e la figura di un corpo. Tali forme possono essere
di due specie: alcune soprannaturali, in quanto si presentano ai due sensi senza la loro cooperazione,
ma vengono da essi ricevute passivamente. A queste, di cui parlerò più avanti, diamo il nome di
visioni immaginarie. Vengono all’uomo per via soprannaturale. Altre sono naturali, in quanto i
sensi interni possono produrle con la loro attività, sotto l’aspetto di forme, figure o immagini. Su
queste due potenze si basa la meditazione, che è un atto discorsivo elaborato attraverso immagini,
forme e figure, fabbricate e immaginate dai suddetti sensi. Avviene così quando ci si immagina
Cristo crocifisso o legato alla colonna o in un’altra situazione, oppure Dio seduto in trono in tutta la
sua maestà; o ancora la gloria come una luce bellissima, ecc., e similmente qualsiasi altra cosa del
genere, sia divina che umana, che può essere oggetto d’immaginazione. Ora, l’anima deve liberarsi
da tutte queste immaginazioni, rimanendo al buio secondo questo senso, se vuole pervenire
all’unione divina. Queste, infatti, non possono assolutamente essere un mezzo proporzionato,
immediato, per arrivare a Dio, proprio come le sensazioni corporali che provengono dai cinque
sensi esterni.
4. Il motivo di questo sta nel fatto che l’immaginazione non può fabbricare né rappresentare una
realtà diversa da quella sperimentata con i sensi esterni, cioè che ha visto con gli occhi, udito con le
orecchie, ecc.; al massimo può formare immagini simili a quelle viste, udite o sperimentate, anche
se queste non saranno mai superiori e così intense come quelle percepite attraverso i sensi esterni.
Infatti, anche se può immaginare palazzi di perle o montagne d’oro, perché ha visto perle e oro, in
realtà tutto questo è meno di un granello d’oro o di una perla, sebbene nell’immaginazione sia
superiore in quantità e bellezza. Poiché, come ho già detto, tutte le cose create non possono essere
assolutamente proporzionate all’essere di Dio, ne segue che tutto ciò che si può immaginare a loro
somiglianza non può costituire un mezzo prossimo all’unione divina, anzi, ripeto, ce ne allontana.
5. Coloro, quindi, che immaginano Dio sotto qualcuna di queste forme, o come un grande fuoco o
splendore, o sotto qualsiasi altra forma, oppure pensano che qualcosa del genere gli somigli, si
allontanano molto da lui. Certamente queste considerazioni, forme e maniere per meditare sono
necessarie ai principianti perché comincino a innamorarsi e a nutrire lo spirito per mezzo dei sensi,
come dirò più avanti. Tutte queste rappresentazioni costituiscono per loro, dunque, mezzi remoti per
unirsi a Dio, attraverso i quali ordinariamente devono passare per arrivare al termine e alla quiete
del riposo spirituale. Tuttavia le anime devono solo passare attraverso di essi, non fermarvisi,
perché altrimenti non arriverebbero alla meta, che non somiglia né ha nulla in comune con i mezzi
remoti. Questi sono come i gradini di una scala che non hanno nulla di somigliante al termine o alla
stanza cui conducono, ma sono soltanto mezzi per arrivarvi. Perciò, se colui che sale non lasciasse
dietro di sé i gradini, ma volesse fermarsi su qualcuno di essi, non salirebbe né giungerebbe mai al
pianerottolo e alla piacevole dimora in cima alla scala. Allo stesso modo l’anima che in questa vita
vuole giungere all’unione con Colui che è assoluto riposo e sommo bene, deve passare per tutti i
gradi delle considerazioni, delle forme e delle conoscenze e disfarsene, perché queste non hanno
somiglianza alcuna né proporzione con il termine al quale conducono, cioè Dio. Per questo san
Paolo, negli Atti, afferma: Non debemus aestimare auro vel argento, aut lapidi sculpturae artis, et
cogitationis hominis divinum esse simile, che vuol dire: Non dobbiamo pensare che la divinità sia
simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte o dell’immaginazione umana
(At 17,29).
6. Questo è il motivo per cui molte persone spirituali si sbagliano di grosso. Si sono esercitate,
come principianti, ad avvicinarsi a Dio per mezzo di immagini, rappresentazioni e meditazioni,mentre sono da lui chiamate a conseguire beni più elevati, interiori e invisibili. A tale scopo
vengono private del gusto e della sostanza della meditazione discorsiva, e ciò nonostante non
smettono né osano né tanto meno sanno distaccarsi da quei modi sensibili cui sono abituate. Benché
si affatichino a praticarli, vogliono procedere, come prima, con la riflessione e la meditazione di
immagini, pensando che debba essere sempre così. In tale tentativo si affaticano molto e ricavando
poco o nessun giovamento. Anzi, quanto più si affannano per quel gusto che provavano prima, tanto
più crescono in esse l’aridità, la stanchezza e l’inquietudine spirituale. Ma l’anima non può
conseguire tale gusto come in passato, perché, come ho detto, essa non prova più gusto per un cibo
così grossolano. Sente il bisogno di un altro più delicato, più interiore e meno sensibile, che non
consiste nel lavorare con l’immaginazione, ma nel riposo e nella quiete assoluta. Tale nutrimento è
più spirituale. In realtà, quanto più l’anima diventa spirituale, tanto più cessa di operare con le
potenze in atti particolari, concentrandosi in un atto generale e puro. A questo punto le potenze
abbandonano la via che aveva condotto l’anima a tale stato, così come i piedi, alla fine del viaggio,
cessano di muoversi e si fermano. Se si dovesse camminare sempre, non si arriverebbe mai, e se
tutto si riducesse a un mezzo, dove e quando si godrebbero il fine o la meta del viaggio?
7. Per questo motivo dispiace assai osservare tante persone che turbano la loro anima
costringendola a badare a cose esteriori e, senza motivo, cercano di rifare il cammino già percorso
abbandonando il fine o la meta in cui riposavano e che avevano raggiunto con i mezzi della
meditazione, mentre la loro anima vorrebbe restare nella serenità e nel riposo della quiete interiore
per gustare la pace e nutrirsi di Dio. Tutto questo provoca disgusto e ripugnanza nell’anima che
avrebbe voluto rimanere in quella pace, che non comprende, come nel posto che le è proprio. La
stessa pena sperimenta colui che è arrivato con fatica al luogo del suo riposo ed è costretto a
riprendere il lavoro. Purtroppo tali persone non comprendono il mistero di questa novità. Pensando
di stare in ozio, senza far nulla, non accettano quel riposo, ma cercano di meditare e di discorrere. In
questo modo aumenta la loro aridità e invano si sforzano di ricevere giovamento da dove ormai non
possono più averne. Anzi si può dire che più si affannano, meno progrediscono, perché quanto più
si ostinano, tanto più si trovano a disagio; non fanno altro che sottrarre l’anima alla pace spirituale,
lasciare il più per il meno e ripercorrere il cammino già percorso, siccome vogliono rifare ciò che è
già fatto.
8. A costoro occorre dire che imparino a starsene in quella quiete spirituale in un’attenzione e
contemplazione piena d’amore per Dio, a non occuparsi dell’immaginazione e della sua attività. In
questo stato, ripeto, le potenze dell’anima riposano e non sono attive, bensì passive, accettando
quanto Dio opera in esse. Se talvolta agiscono, non lo fanno con sforzo o con l’aiuto di prolungati
ragionamenti, ma con la soavità dell’amore, mosse più da Dio che dall’abilità dell’anima, come
spiegherò più avanti. Per il momento basti questo per far capire quanto sia conveniente e necessario,
a coloro che vogliono progredire, sapersi distaccare, al momento opportuno, da tutti questi modi di
agire o da simili rappresentazioni dell’immaginazione, quando lo richiede il progresso dello stato in
cui si trovano.
9. Per conoscere quale sia il momento opportuno, nel capitolo seguente indicherò alcuni segni che
le persone spirituali devono scoprire in sé per sapere quando possono servirsi liberamente del
metodo indicato e abbandonare la via del ragionamento e del lavoro dell’immaginazione.