CAPITOLO 13
Ove si descrivono i segni che la persona spirituale deve osservare in se stessa, per conoscere il
momento adatto per abbandonare la meditazione e il ragionamento e passare allo stato della
contemplazione.
1. Perché questa dottrina non resti nebulosa, converrà in questo capitolo indicare alla persona
spirituale il momento adatto per abbandonare la meditazione discorsiva, portata avanti con l’uso
delle suddette rappresentazioni, forme e figure, perché non lo faccia né prima né dopo rispetto alle
esigenze dello spirito. Se, infatti, è conveniente lasciare la meditazione immaginativa a tempo
debito perché non sia di ostacolo per andare a Dio, è parimenti necessario non lasciarla prima del
tempo per non tornare indietro. Sebbene le percezioni dell’immaginazione e della fantasia non
servano ai proficienti come mezzi prossimi all’unione con Dio, tuttavia possono essere d’aiuto ai
principianti come mezzo remoto per disporsi e per abituarsi alle realtà spirituali attraverso i sensi,
per poi svuotarli, durante il cammino, da tutte le altre forme e immagini vili, temporali, mondane e
naturali. A questo proposito offrirò qui alcuni segni e indizi, che la persona spirituale deve scoprire
in sé, per valutare se abbandonare o meno queste immagini, a un dato momento.
2. Il primo segno si presenta quando l’anima si accorge di non poter più meditare né discorrere con
l’immaginazione, come pure di non trovare gusto in questo esercizio come le avveniva prima. Al
contrario, ora prova aridità nelle cose in cui prima era solita fissare il gusto e trarne giovamento. Ma
finché ci trova gusto e può discorrere nella meditazione, non deve lasciarla, a meno che la sua
anima abbia raggiunto la pace e la serenità di cui si parla nel terzo segno.
3. Il secondo segno si verifica quando l’anima non ha nessuna voglia di applicare la sua fantasia o i
sensi ad altri oggetti particolari, esteriori o interiori. Non intendo dire che la fantasia non lavori,
perché anche nel profondo raccoglimento essa è solita essere libera, ma che non piace alla persona
applicarla di proposito ad altri oggetti.
4. Il terzo segno, che è più sicuro, si ha quando l’anima prova piacere a starsene sola con Dio, in
uno sguardo d’amore contemplante, senza particolari considerazioni. Sua unica occupazione è
godere la pace interiore, la quiete e il riposo divino, escludendo ogni attività ed esercizio delle
potenze, della memoria, dell’intelletto e della volontà, o perlomeno gli atti discorsivi, nei quali si
passa da un oggetto all’altro. Essa intende godere la presenza di Dio accompagnata solo da uno
sguardo e una conoscenza generale amorosa, di cui abbiamo parlato, senza particolari conoscenze,
rinunciando persino a comprenderne l’oggetto.
5. La persona spirituale deve riscontrare contemporaneamente in sé questi tre segni prima di
decidersi a lasciare lo stato della meditazione e l’uso dei sensi, per passare poi a quello della
contemplazione e dello spirito.
6. Non basta che scorga in sé il primo segno senza il secondo, perché potrebbe darsi che non possa
più rappresentarsi né meditare le cose di Dio, come prima, per distrazione o poca diligenza. Deve,
quindi, scorgere in sé anche il secondo segno, che è quello di non aver voglia né desiderio di
pensare a cose estranee. Infatti, quando l’impossibilità di fissare l’immaginazione o i sensi sulle
cose di Dio proviene da distrazione o tiepidezza, l’anima avverte subito il desiderio e la voglia di
occuparsi di altre cose, cercando un pretesto per abbandonare la meditazione. Non basta nemmeno
scorgere in sé il primo e il secondo segno, se non congiunti al terzo. Infatti, anche se l’anima si
rende conto che non può meditare né riflettere sulle cose di Dio e che tanto meno le giova pensare a
quelle diverse da lui, questo stato potrebbe derivare da malinconia o da qualche altro cattivo umore
proveniente dalla testa o dal cuore. Tale umore abitualmente provoca nei sensi un certo torpore e
inattività delle facoltà tanto da impedire di pensare a qualcosa, di volerla o aver voglia di pensarvi,
per rimanere in quello stato di astrazione saporosa. Per evitare questo, l’anima deve verificare in séil terzo segno, che consiste nella conoscenza e nello sguardo amoroso e pacifico su Dio, ecc., come ho detto sopra.
7. Ma è vero che, agli inizi di questo stato, non si riesce a percepire del tutto tale conoscenza
amorosa. Ciò accade per due motivi: primo, perché agli inizi questa conoscenza amorosa è
abitualmente molto sottile e delicata e quasi impercettibile; secondo, perché l’anima, essendo stata
abituata all’altro esercizio della meditazione, completamente basato sui sensi, non riesce a vedere e
quasi non avverte questa conoscenza nuova che non passa attraverso i sensi, in quanto è puramente
spirituale. Ciò le capita soprattutto quando, non comprendendola, non vi si abbandona serenamente,
ma continua a cercare l’altro stato più sensibile. E così, sebbene sia investita da una pace interiore,
piena d’amore, più abbondante, non riesce a sentirla né a goderla. Ad ogni modo, quanto più si
abituerà alla quiete interiore, tanto più crescerà in essa e avvertirà quella conoscenza piena d’amore
per Dio. Quest’ultima le piacerà più di ogni altra cosa creata, perché le procurerà pace, riposo, gusto
e diletto, senza alcuna fatica.
8. Per chiarire ulteriormente quanto è stato detto, esporrò nel capitolo seguente cause e ragioni che
dimostrano la necessità di questi tre segni per passare al piano dello spirito.